Rinunciare al ghiaccio nei drink è quasi impossibile, ma quanto ne sappiamo sulle cristalline pepite sottozero? La domanda è d’obbligo visto che molte ispezioni a campione in bar e pub rivelano un’alta percentuale di contaminazione batterica o la presenza di muffe. Nessuno ci pensa, ma il ghiaccio, di fatto, è un alimento vero e proprio! Il mal di pancia poche ore dopo il drink “incriminato” può non essere dovuto all’effetto del freddo sull’intestino come molti pensano, ma a una intossicazione vera e propria.
Corrette procedure di produzione: fidarsi?
La legge definisce con precisione le regole per produrre “il ghiaccio alimentare”. Le macchine e i contenitori devono essere sottoposti a pulizia, manutenzione e sostituzione dei filtri. Se non risponde a queste condizioni, si tratta di ghiaccio “non alimentare”. La realtà, però, è spesso una zona d’ombra. Basti pensare ai tanti operatori che producono ghiaccio, utilizzandolo sia per raffreddare le bottiglie sia nelle bevande. Ad alto rischio di contaminazione sono anche la conservazione e la manipolazione che, se condotte in modo non corretto, possono trasformare i cubetti in insidiose bombe batteriologiche. I controlli ci sono, ma non possono essere a tappeto.
Regole di buon senso
Un minimo di prudenza è sempre d’obbligo. Se la bibita è chiusa e già refrigerata, il ghiaccio – sebbene scenografico – non serve. In ogni caso, meglio limitarsi a un paio di cubetti, rispetto al bicchiere colmo! Il barman inserisce il ghiaccio nel bicchiere con le mani e non con le apposite pinze? No, non si fa! Il brivido freddo potrebbe trasformarsi, nel giro di poche ore, in un brivido di paura!
L’Istituto nazionale per il ghiaccio alimentare (Inga) ha predisposto un Manuale scaricabile sul sito www.ghiaccioalimentare.it.